mercoledì, luglio 26, 2006

de ardore.. o semplicemente con gli occhi di un bambino


“Vorrei che ognuno di voi vedesse questo film con gli occhi del bimbo che è in lui. Così so che ognuno di voi lo vedrà in modo diverso, lo sentirò in modo diverso. È così che io l’ho concepito”. Così conclude il brevissimo discorso Wim Wenders in una silenziosa piazza di Bari, mentre il pubblico aspettava una lunghissima intervista, sperava di porgli domande, scoprire curiosità.. Niente di tutto questo, poche parole, un saluto e poi buio, il film ha inizio.

Chiamare semplicemente film “Il cielo sopra Berlino” è snaturarne la bellezza. Esso è pura poesia, e racchiude l’umanità intera. L’aver scelto Berlino come setting è per Wenders non solo un ritorno alle origini ma un simbolo violento e malinconico volto alla riscoperta e alla ricerca dell’unità. Una città divisa da un muro, una città che come gli uomini reca i segni della devastazione bellica, metafora dell’incomunicabilità e della non-comprensione. Una città-mondo, un mondo visto dagli angeli in bianco e nero, dove si fa evidente il grigiore, la miseria, la solitudine, il silenzio.. reso tutto magistralmente da fotografia e semi-assenza di dialoghi, percezione di pensieri e odori.
Un mondo in cui la mancanza si fa forte e la chiave di volta è l’innocenza, l’entusiasmo..Eppure in questa apparente cupa nostalgia della antica perfezione unitaria dell’Eden cioè che resta nello spettatore è la speranza, il credo, la gioia, l’amore. Un meraviglioso film che consente un’immediata riflessione sull’essere stesso. “Il tempo guarirà tutto, ma che succede se il tempo stesso è una malattia?” Ogni singolo fotogramma e pensiero hanno echi di una profonda ricerca esistenziale che coinvolge ogni essere. E gli angeli cercano di aiutare e consolare chi più ne ha bisogno, seduti al loro fianco, invisibili a tutti se non ai bambini, una mano sulla spalla per infondere pace e coraggio.. ma anche loro possono fallire, anche loro son fallaci.. qualcuno, si suicida lo stesso. Che siano umani come noi? Che siamo angeli anche noi? Il tornar sulla terra non va ad inficiare la positività del ruolo degli angeli, quel senso di tepore e rassicurazione trasmesso agli stessi spettatori. Tecnicamente è l’inquadratura “in soggettiva” che consente anche a noi di veder ciò che vedono gli angeli, ma di percepirlo come solo noi, esseri umani sappiamo fare.

Nel capolavoro del regista tedesco, un’ingenuità dolce e infantile aleggia sulle brutture degli uomini. L’ingenuità degli angeli e dei bambini, i protagonisti onnipresenti-assenti del film. Per le strade, sotto i ponti, nelle auto, nella metropolitana, nei bistrot, nelle case, nei ricordi. Angeli umanizzati che chiedono di vedere i colori e di poter toccare, assaporare, gustare. Un caffè, una goccia di sangue, la pelle di una donna, le mani di un amico, una pietra ovale, la vita. Quanto entusiasmo c’è e quanta curiosità e voglia d’amore. Dopo aver camminato tra gli uomini, all’eternità senza colore l’angelo preferisce la precarietà della condizione umana, precaria ma viva, tangibile, in comunione.

Ogni scelta registica, dalla musica alla fotografia, dai tempi alle liriche, dalle ombre alle nebbie, dai personaggi al metacinema, tutto assurge al ruolo di simbolo, tutto assume la sua dimensione e collocazione e riacquista valore…la trapezista che vola come un angelo.. le comparse “questi qui sono comparse, gente fantastica, sono così pazienti, se ne stanno seduti, semplicemente, comparse.. questi essere umani sono comparse.. sono straordinari…”dice Peter Falk riflettendo.. Il fatto che nel film vi siano Peter Falk e Nick Cave nel ruolo di se stessi rende ancora più reale e tangibile ciò che dovrebbe esser solo finzione o sogno. Nonostante l’angelica presenza, ciò che regna è proprio la verità, il palpabile, quello che gli angeli vorrebbero possedere. Ogni cosa si priva della sua bruttura per avvolgersi in setose immagini di stupore e forza accompagnate dalla voce sonante di violini. Anche la città, ripresa nei suoi posti meno belli, nei suoi angoli più desolati e nascosti,eppur ci appare bellissima.

Mi piace vedere questo Der Himmel über Berlin come un documentario sull’anima, “finito il circo, finito.. ancora una volta è come se si facesse buio dentro di me…guardarsi allo specchio è come guardarsi pensare..allora cosa pensi? Penso che ho senz’altro il diritto di avere paura.. e allora piangi, vorresti piangere come una bambina piccola ..” dice Marion.. una continua ricerca di sé, o di qualcosa che ci completi. Vi è un mondo in questo film, una biblioteca assoluta.. e le contaminazioni e i richiami letterari, filosofici e cinematografici si presentano all’improvviso, violenti.. dall’alone circense felliniano alla scissione ontologica dell’essere dai vaghi sapori parmenidei, dalle cadute angeliche della Genesi ai richiami impliciti a “La notte dei generali”, film di Litvak del 1967, dalla guida di Omero all’atmosfera cupa e trascinante di Nick Cave per finire con l’immagine finale e luminosa della stilnovista donna angelicata, Marion che si esercita “in cielo” mentre Damiel, l’ex angelo, la guarda da terra, con il naso in su.
Il film inizia con l’angelo che guarda verso il basso.. e analizza. Il film finisce con l’angelo diventato uomo che guarda verso l’alto.. e sogna. “c’era una volta..”
Inversione del tutto. Unione del tutto. Simboleggiata quasi biblicamente dall’unione uomo/donna. Ma non solo. “Mi piacerebbe vedere la tua faccia, giusto per guardarti negli occhi e dirti quanto è bello essere qui... Quaggiù è bello fumare, prendere un caffè... e se lo fai insieme è fantastico.” Dice un amico..Farlo insieme, insieme è bello, esaltazione dalla terminologia infantile dell’unità e del ricongiungimento anche e soprattutto in una stretta di mano vicino al nulla sonante di Postdamerplatz. È dal muro grigio e maledetto di un mondo diviso, proprio da quel wall di separazione che l’angelo comincia la sua nuova vita di unione. Opposti che si toccano. Prospettive che si avvicinano. Grigi che si colorano. Perché pian piano, man mano che si entra nella vita e nel cuore dei due protagonisti, la prospettiva e la visuale cambiano e, dall’alto, dalla distanza iniziale, lo sguardo dell’angelo scende sulle strade, sotto la metro, e si misura con l’uomo comune, con la vera essenza del popolo, e ne avverte la comunione. E ne ricerca la comunione. “Guardare non è guardare dall’alto, ma ad altezza d’occhio.” E diventa come noi.
Anche il cielo si ricongiunge con la terra, con due mani che si toccano, due labbra che si sfiorano. non c'è bisogno di essere angeli per volare. e Nick Cave canta "From her to eternity"... Lo stupore di un uomo che ora sa ciò che nessun angelo sa. …….
….siamo tutti sulla stessa barca.

Ci sarebbe ancora tanto altro da dire.. ma..provate a vederlo anche voi con gli occhi di un bambino.

buon entusiasmo a tutti.

Quando il bambino era bambino, se ne andava a braccia appese.
Voleva che il ruscello fosse un fiume, il fiume un torrente, e questa pozza il mare.
Quando il bambino era bambino, non sapeva d'essere un bambino.
Per lui tutto aveva un'anima, e tutte le anime erano tutt'uno.
Quando il bambino era bambino, su niente aveva un'opinione.
Non aveva abitudini. Sedeva spesso a gambe incrociate, e di colpo sgusciava via.
Aveva un vortice tra i capelli, e non faceva facce da fotografo.
Quando il bambino era bambino, era l'epoca di queste domande:
Perché io sono io, e perché non sei tu? Perché sono qui, e perché non sono lí? Quando é cominciato il tempo, e dove finisce lo spazio?La vita sotto il sole, é forse solo un sogno? Non é solo l'apparenza di un mondo davanti a un mondo, quello che vedo, sento e odoro?
C'é veramente il male? E' gente veramente cattiva?Come puó essere che io, che sono io, non c'ero prima di diventare? E che un giorno io, che sono io, non saró piú quello che sono?
Quando il bambino era bambino, per nutrirsi gli bastavano pane e mela, ed é ancora cosí.
Quando il bambino era bambino, le bacche gli cadevano in mano, come solo le bacche sanno cadere. Ed é ancora cosí. Le noci fresche gli raspavano la lingua, ed é ancora cosí.
A ogni monte, sentiva nostalgia di una montagna ancora piú alta, e in ogni cittá, sentiva nostalgia di una cittá ancora piú grande. E questo, é ancora cosí. Sulla cima di un albero, prendeva le ciliegie tutto euforico, com'é ancora oggi.
Aveva timore davanti ad ogni estraneo, e continua ad averne.
Aspettava la prima neve, e continua ad aspettarla.
Quando il bambino era bambino, lanciava contro l'albero un bastone, come fosse una lancia.
E ancora continua a vibrare.
"Lied Vom Kindsein" — Peter Handke ..dal film..

2 commenti:

Anonimo ha detto...

è da anni che non vedo questo film, mi ricordo veramente poco... ricordo i colori sbiaditi... e tanti brividi che mi scorrevano lungo la schiena... gli stessi che ho riprovato leggendo il tuo post...
che dire... voglio rivederlo, visto che quel giorno era impossibile vederlo in piedi... :)
ho il dvd... quasi quasi :)
baci
Salvatore

Manuela ha detto...

ho avuto la fortuna di rivederlo l'anno scorso, in una sorta di cinema semiclandestino nel quartiere del raval, in quel di Barcellona. Il film era in lingua originale con i sottotili in spagnolo.... e rivederlo dopo vari anni, addirittura nella lingua in cui era nato (anche se il tedesco mi fa schifo) è stato veramente bello.... non c'e' che dire... chiamarlo film è veramente riduttivo.... alzo gli occhi al cielo...