giovedì, marzo 08, 2012
Le parole – J.Saramago
Le parole sono buone. Le parole sono cattive. Le parole offendono. Le parole chiedono scusa. Le parole bruciano. Le parole accarezzano. Le parole sono date, scambiate, offerte, vendute e inventate. Le parole sono assenti. Alcune parole ci succhiano, non ci mollano; sono come zecche: si annidano nei libri, nei giornali, negli slogan pubblicitari, nelle didascalie dei film, nelle carte e nei cartelloni. Le parole consigliano, suggeriscono, insinuano, ordinano, impongono, segregano, eliminano. Sono melliflue o aspre. Il mondo gira sulle parole lubrificate con l’olio della pazienza. I cervelli sono pieni di parole che vivono in santa pace con le loro contrarie e nemiche. Per questo le persone fanno il contrario di quello che pensano, credendo di pensare quel che fanno. Ci sono molte parole.
E ci sono i discorsi, che sono parole accostate le une alle altre, in equilibrio instabile grazie ad una sintassi precaria, fino alla conclusione del “dissi” o “ho detto”. Con i discorsi si commemora, si inaugura, si aprono e chiudono riunioni, si lanciano cortine fumogene o si dispongono tende di velluto. Sono brindisi, orazioni, conferenze, dissertazioni. Attraveso i discorsi si trasmettono lodi, ringraziamenti, programmi e fantasie. E poi le parole dei discorsi appaiono allineate su dei fogli, dipinte con inchiostro tipografico – per questa via entrano nell’immortalità del Verbo. Accanto a Socrate, il presidente dell’assemblea affigge il discorso che ha aperto il rubinetto della fontana. E le parole scorrono fluide come il “prezioso liquido”. Scorrono interminabili, allagano il pavimento, salgono alle ginocchia, arrivano alla vita, alle spalle, al collo. E’ il diluvio universale, un coro stonato che sgorga da milioni di bocche.
La terra prosegue il suo cammino avvolta in un clamore di pazzi che gridano, che urlano, avvolta anche in un mormorio docile, sereno e conciliatore. C’è di tutto nel coro: tenori e tenori leggeri, bassi, soprani dal do di petto facile, baritoni trasbordanti, mezzocontralti. Negli intervelli, si ode il suggeritore. E tutto ciò stordisce le stelle e perturba le comunicazioni, come le tempeste solari. Perchè le parole hanno cessato di comunicare. Ogni parola è detta perchè non se ne oda un’altra. La parola, anche quando non afferma, si afferma. La parola non risponde nè domanda: accumula. La parola è l’erba fresca e verde che copre la superficie dello stagno. La parola è polvere negli occhi e occhi bucati. La parola non mostra. La parola dissimula.
Per questo urge mondare le parole perchè la semina si muti in raccolto. Perchè le parole siano strtumenti di morte – o di salvezza. Perchè la parola valga solo ciò che vale il silenzio dell’atto.
C’è anche il silenzio. Il silenzio, per definizione, è ciò che non si ode. Il silenzio ascolta, esamina, osserva, pesa e analizza. Il silenzio è fecondo. Il silenzio è terra nera e fertile, l’humus dell’essere, la tacita melodia sotto la luce solare. Cadono su di esso le parole. Tutte le parole. Quelle buone e quelle cattive. Il grano e il loglio. Ma solo il grano dà il pane.
Di questo mondo e degli altri
venerdì, novembre 04, 2011
La ragazza dello Sputnik
troppo bello passare del tempo a esser felici.. e quando si perde quella serenità si ha bisogno di sognare..
eccomi su un satellite intorno al mondo..
romanzo delicato e sospeso.
qui la mia recensione :
http://www.unilibro.it/find_buy/Scheda/libreria/autore-murakami_haruki/sku-978138/la_ragazza_dello_sputnik_.htm
buona lettura.
f.
nessuno si salva da solo
qui la mia recensione :
http://www.unilibro.it/find_buy/Scheda/libreria/autore-mazzantini_margaret/isbn-9788804608653/nessuno_si_salva_da_solo_.htm#commenti
salviamoci.
mercoledì, marzo 17, 2010
lettera al mio giudice

Un uomo , una vita, uno sfogo.
Una lunga confessione, il bisogno di dire, di urlare la propria verità. Quella vissuta nel cuore e nella mente. Quella che supera le convenzioni e i pregiudizi e la legge e la morale comune. Quella che comprende l’amore. E la morte. Nell’indefinito spazio del battito improvviso.
Una lettera come voce del bisogno, un quadro di Munch lungo una vita, tratteggiato a tinte forti delineando volti, paesaggi, spazi, interni, silenzi. Abbozzando vite, approfondendone altre.
Una vita in una lettera espressa nel bisogno violento e disperato di esser compresi… senza giudizio. Solo come uomo. Solo uomo con uomo. Uomo solo uomo.
Un romanzo in cui il climax ascendente va di pari passo all’ansia della lettura, all’autoanalisi psicologica ..
Intenso, aspro. A tratti crudo. A tratti malinconico.
il suo giudice...
... a giudicare Alavoine, oltre la corte, oltre il lettore, nonostante tutto, sarà soltanto lui... la sua testa, la sua coscienza, le sue scuse.
E nell’immancabile dramma del tradimento, Simenon non tradisce mai..
domenica, aprile 20, 2008
mille volte buonanotte..
[…] Sweet, good night!This bud of love, by summer's ripening breath,May prove a beauteous flower when next we meet.Good night, good night! as sweet repose and restCome to thy heart as that within my breast!
ROMEO
O, wilt thou leave me so unsatisfied?
JULIET
What satisfaction canst thou have to-night?
ROMEO
The exchange of thy love's faithful vow for mine.
JULIET
I gave thee mine before thou didst request it:And yet I would it were to give again.
ROMEO
Wouldst thou withdraw it? for what purpose, love?
JULIET
But to be frank, and give it thee again.And yet I wish but for the thing I have:My bounty is as boundless as the sea,My love as deep; the more I give to thee,The more I have, for both are infinite.
Nurse calls within
I hear some noise within; dear love, adieu!Anon, good nurse! Sweet Montague, be true.Stay but a little, I will come again.
Exit, above
ROMEO
O blessed, blessed night! I am afeard.Being in night, all this is but a dream,Too flattering-sweet to be substantial.
Re-enter JULIET, above
JULIET
Three words, dear Romeo, and good night indeed.If that thy bent of love be honourable,Thy purpose marriage, send me word to-morrow,By one that I'll procure to come to thee,Where and what time thou wilt perform the rite;And all my fortunes at thy foot I'll layAnd follow thee my lord throughout the world.
Nurse
[Within] Madam!
JULIET
I come, anon.--But if thou mean'st not well,I do beseech thee--
Nurse
[Within] Madam!
JULIET
By and by, I come:--To cease thy suit, and leave me to my grief:To-morrow will I send.
ROMEO
So thrive my soul--
JULIET
A thousand times good night!
Exit, above
JULIET
Romeo!
ROMEO
My dear?
JULIET
At what o'clock to-morrowShall I send to thee?
ROMEO
At the hour of nine.
JULIET
I will not fail: 'tis twenty years till then. Romeo..I have forgot why I did call thee back.
ROMEO
Let me stand here till thou remember it.
JULIET
I shall forget, to have thee still stand there,Remembering how I love thy company.
ROMEO
And I'll still stay, to have thee still forget,Forgetting any other home but this.
JULIET
[...] Good night, good night! parting is suchsweet sorrow,That I shall say good night till it be morrow.
Exit above
è un capolavoro. dopo più di 500 anni ..
.. lei è meravigliosa. la poesia è un brivido. la colonna sonora ti entra nel cuore.
vi prego ascoltatela in inglese... guardate la sua interpretazione, i suoni, i sospiri.. e poi se proprio volete cercate una traduzione degna..
giovedì, gennaio 10, 2008
Hamlet Act3, Scene1 Soliloquy
To be, or not to be: that is the question:
Whether 'tis nobler in the mind to suffer
The slings and arrows of outrageous fortune,
Or to take arms against a sea of troubles,
And by opposing end them? To die: to sleep;
No more; and by a sleep to say we end
The heart-ache and the thousand natural shocks
That flesh is heir to, 'tis a consummation
Devoutly to be wish'd. To die, to sleep;
To sleep: perchance to dream: ay, there's the rub;
For in that sleep of death what dreams may come
When we have shuffled off this mortal coil,
Must give us pause: there's the respect
That makes calamity of so long life;
For who would bear the whips and scorns of time,
The oppressor's wrong, the proud man's contumely,
The pangs of despised love, the law's delay,
The insolence of office and the spurns
That patient merit of the unworthy takes,
When he himself might his quietus make
With a bare bodkin? who would fardels bear,
To grunt and sweat under a weary life,
But that the dread of something after death,
The undiscover'd country from whose bourn
No traveller returns, puzzles the will
And makes us rather bear those ills we have
Than fly to others that we know not of?
Thus conscience does make cowards of us all;
And thus the native hue of resolution
Is sicklied o'er with the pale cast of thought,
And enterprises of great pith and moment
With this regard their currents turn awry,
And lose the name of action. - Soft you now!
The fair Ophelia! Nymph, in thy orisons
Be all my sins remember'd.
domenica, ottobre 28, 2007
frasi d'autore
"è da sciocchi parlare delle possibilità mancate, quando si sa che la vita ha una sola strada: quella che abbiamo scelto."
da Canone inverso. Maurensig. Un libro bellissimo letto tanti anni fa in ritorno da un viaggio...
mercoledì, giugno 06, 2007
Asylum..
L'aria è sotto la lucida lente perversa di uno psichiatra. è pesante. si respira dolore. si respira soffocamento. non si respira. Verrebbe voglia di chiedere aiuto.
Eppure Stella è lì, sprigionando su carta erotismo e passione, suscitanto odio e compassione, amore e ribrezzo, voglia e sdegno.
Eppure Edgard è lì, e lo immaginiamo col sorriso beffardo ed egoista, fanatico e spregiudicato. Pazzo. Pazzi. Bellissimi. Gioco di amore e morte, intreccio crudele, partita a scacchi con se stessi. Vittime e carnefici, e spettatori già vinti senza aver partecipato.Come può restare sulla pelle il brivido dopo aver letto la parola fine? Ricominciare a leggere, rivivere, riprovare emozioni. il romanzo trasuda emozioni.. percepite e analizzate come sul vetrino di un biologo, sudate e temute come sul lettino di un analista.. La parola descrive e tace. Illustra e lascia sospeso. Provoca e ferisce. Come un entomologo sul suo insetto ancora vivo. Un battito di ali. Vite spezzate da un gesto.
a volte li odi. a volte li ami.
E l'arte come sempre si fa complice. di un amore, di un delitto. La scultura, arte di creazione, diventa parte di un quadro di morte.. Il dolore trasuda come la passione.Stella è l'elegante, disinibito, contemporaneo specchio liberty di Emma Bovary.. Donne che bruciano dentro, che bruciano su carta, che dimenticano tutto in nome di quella passione morbosa. Che "scelgono" nel corso di tutta la vita la morte, perchè altro non è concesso ai loro occhi, alle loro mani, ai loro desideri.. Le voci si accavallano, eppure tutti i personaggi passano così in secondo piano, tipi umani che si svuotano di fronte all'intensità dei due tormentati angeli caduti.
Assassini.
Asylum...manicomio, prigione per la mente, per il cuore, per l'anima.. titolo inglese bellissimo.. così claustrofobico, così legato ai labirintici stretti vialetti della mente malata. E gli spazi aperti, la campagna inglese, i prati, il lago, la grande casa sono solo gli antagonisti beffardi e ignari di quello che è il bellissimo male in loro.. Il sesso il corpo la famiglia quasi perdono valore. Altrove se non in loro, tutto è una via di fuga.. fittizia..
Eros e Thanatos finiscono tenendosi la mano. E tenendosi il cuore di chi assapora il romanzo.
son passati quattro anni. voglio rileggerlo. (ma per ora lo impacchetto insieme a tutto quello che c'è in questa stanza)
Follia. Patrick Mc Grath.
ps. Ben avevo detto che ne avrei parlato..
ps2- dopo aver pubblicato questo post.. scopro un articolo.. io adoro le coincidenze.
http://www.repubblica.it/2007/06/sezioni/spettacoli_e_cultura/follia/follia/follia.html
mercoledì, novembre 08, 2006
i cigni solitari - momento letterario del mese
Nel fondo del cuore respirava.
Lei si sbocciava.
Lei come un fiore.
Si svegliò diventando un'Alice smarrita da un sogno alla fine.
Così smarrita nella passione si chiese quante preghiere valesse il rimorso di non aver atteso che il tempo le portasse l’amore.
Così Virginia cresceva nei sogni. Virginia non aveva mai avuto un’amica migliore e le mancava una sorella dal sangue diverso. Virginia guardò una ragazza gridare. Ne seguì la corsa sul prato.
Il giorno dopo l’avrebbe incontrata.
Non per caso. L’avrebbe incontrata.
Ancora.
Le regalò un sorriso.
Ebbe inizio così.
Elena, così si chiamava.
Adorava sentire. Lo capì dal modo in cui si esponeva alla vita.
Senza paure.
"Vorrei mi pensassero pazza" le disse una volta.
Sembrava cercasse di liberarsi da se.
Quasi qualcosa le imprigionasse la parte più vera.
Elena aveva un segreto.
Come tutti un segreto.
Da non svelare.
Una mattina Elena la guardò puntandole addosso se stessa.
Le disse: "Un giorno ti dimenticherò"
Aveva espressioni d’amore sottratto.
Le disse: "Il giorno in cui uscirai dalla mia vita lotterò per dimenticarti all'istante"
Virginia provò un sentimento simile alla paura.
Intravide qualcosa di sconosciuto.
Era come il segno di una ferita.
Disse: "Odio i ricordi, non voglio mai odiarti"
Diventarono indivisibili vite.
Dal niente al tutto con un battito d’ali.
…Nemmeno un istante da respirare lontane…
Sincronizzando il pulsare del cuore.
Invisibili streghe. Pensava abitassero nei sogni peggiori per farla star male.
Per trafiggerle il sonno con sgraziata violenza.
Due gemelle divise da un suono che esplode.
Furiosi demoni in quella stanza.
Suonò il campanello andò ad aprire.
Elena arrivò con un orsacchiotto di peluche in mano. Rideva isterica.
Ormai aveva capito che se lei rideva in quel modo in realtà non rideva.
Diceva: "io non sono ciò che credi"
Virginia non chiese nulla.
Strinse tra le braccia la disperazione.
Qualcosa di speciale le univa. Forse la bellezza di sapersi all’inizio di tutto. Forse la paura del momento in cui se ne sarebbero stancate.
Segni indelebili che diventano storia e storia rimangono per sempre. Anche se gridi, se ti disperi.
Tagli nel cuore. Sangue che cade.
Elena. La sua amicizia. Il suo modo di guardarla e viverla.
Ambiguamente. Assomigliava. All’amore.
Ascoltò il respiro dell’amica fermarsi. Guardò i suoi pugni stringersi.
Stritolare l’impotenza di non poter gridare parole al vento.
Se le avesse ascoltate quelle parole……
Esistono parole che non hanno bisogno di voce ed erano quelle.
Pur restando mute gridavano. Uccise dentro pugni chiusi.
E nulla era più da capire ma da dimenticare.
Dimenticare e fuggire.
Si mise a correre. Via. Lontano per non vedere.
Ci sono corse che non hanno bisogno di nessuno spostamento.
Si può anche stare immobili e finire lontani.
Poi contro il corpo come vento violento strinse un’amica che le gridava ti amo.
Come cadere. Come cadere a ogni ti amo.
Di Elena aveva sentito il respiro fuggire.
Respiro che corre fatto di pianto. Non lo aveva seguito.
Era rimasta a guardare.
Ripercorreva giorni con furia.
Con la smania folle di quando vuoi ritrovare la cosa più preziosa che hai perso per errore.
"Virginia mi manchi da morire"
Elena iniziò a parlare con massacrante dolcezza.
La stessa dolcezza che possiede chi ha già perduto la persona amata ma continua a lottare.
E il vuoto l’accolse. Per mano dentro ricordi.
Elena continuamente. Alberi e cieli di foglie. Cento favole e baci mai dati.
Usciva dai sogni così. Forse era come ciò di cui non aveva memoria.
Se solo fosse stato possibile illustrare nel cielo quel dolore.
Multipli lampi dal cielo spezzato.

Che era morta.
Le dissero che era morta.
Che nell’alba l’avevano vista galleggiare
Come.
Un cigno.
Aveva lasciato una lettera.
Sopra c’era scritto il suo nome.
C’era scritto a Virginia con infinito amore.
Quando la lesse iniziò a gridare.
Irrigidì il corpo e la bruciò nel cuore.
A Virginia con infinito amore:
….. E noi, l’una dell’altro
I colli reclini attorcigliammo
Come 2 cigni solitari …..
LoVeRs – I. Santacroce.. mai letto niente, ma sto pezzo è bellissimo.
lunedì, ottobre 30, 2006
se avessi un duplicato?
Cos'è che guardo allo specchio, il mio o il suo volto?
Quale vita conduco dentro di me se fuori non sembro solo me stesso?
A cosa potrebbe arrivare un uomo se scoprisse che al mondo esiste una perfetta copia di sé?
l'apparire, l'aspetto esteriore, l'abito, il segno di riconoscmento che valore avrebbero nell'identità di un essere?
Ci si sentirebbe un po' spersonalizzati, privati della propria essenza.. "corpo con/diviso" = anima frustrata, annientata, dimezzata nel valore.. Ci si sentirebbe quasi giudicati da se stessi senza essere se stessi, giudicati da un altro io, dal proprio doppio, che è davvero alter, altro da sé..un altro uomo con un altro nome, un altro lavoro, una vita diversa ma..identico. La sua voce reale e tangibile si mischia e si accavalla a quella inconscia del Buon senso.. al punto da annientarla.
Eppure... questo eventuale giudizio peserebbe meno di fronte alla terribile scoperta di non essere più unici e irripetibili al mondo, ma una combinazione di geni e una catena di dna composta casualmente come la fila dei numeri del lotto....ripetibile...
Ho appena finito di leggere L'uomo duplicato di Saramago... Una scrittura complessa, un intrecciarsi di frasi lunghissime che seguono al tempo stesso il flusso di coscienza del protagonista, del narratore e dell'autore .. coinvolgendo il lettore in una narrazione difficile ma intensa..che varia dal filosofico al trivialdivertente, passando per un attento studio dialettico, sociologico e psicologico. Un'opera d'arte contemporanea complessa ma non pesante..che lascia un po' così, appesi al filo del.. "chissà se..."
"I cannot find the other half.."
Lettura consigliata del mese.
e voi come vi sentireste?
giovedì, settembre 07, 2006
Dialogo della Terra e della Luna..

Terra. Cara Luna, io so che tu puoi parlare e rispondere; per essere una persona; secondo che ho inteso molte volte da' poeti: oltre che i nostri fanciulli dicono che tu veramente hai bocca, naso e occhi, come ognuno di loro; e che lo veggono essi cogli occhi propri; che in quell'età ragionevolmente debbono essere acutissimi. Quanto a me, non dubito che tu non sappi che io sono né più né meno una persona; tanto che, quando era più giovane, feci molti figliuoli: sicché non ti maraviglierai di sentirmi parlare. Dunque, Luna mia bella, con tutto che io ti sono stata vicina per tanti secoli, che non mi ricordo il numero, io non ti ho fatto mai parola insino adesso, perché le faccende mi hanno tenuta occupata in modo, che non mi avanzava tempo da chiacchierare. Ma oggi che i miei negozi sono ridotti a poca cosa, anzi posso dire che vanno co' loro piedi; io non so che mi fare, e scoppio di noia: però fo conto, in avvenire, di favellarti spesso, e darmi molto pensiero dei fatti tuoi; quando non abbia a essere con tua molestia.
Luna. Non dubitare di cotesto. Così la fortuna mi salvi da ogni altro incomodo, come io sono sicura che tu non me ne darai. Se ti pare di favellarmi, favellami a tuo piacere; che quantunque amica del silenzio, come credo che tu sappi, io t'ascolterò e ti risponderò volentieri, per farti servigio.
Terra. Senti tu questo suono piacevolissimo che fanno i corpi celesti coi loro moti?
Luna. A dirti il vero, io non sento nulla.
Terra. Né pur io sento nulla, fuorché lo strepito del vento che va da' miei poli all'equatore, e dall'equatore ai poli, e non mostra saper niente di musica. Ma Pitagora dice che le sfere celesti fanno un certo suono così dolce ch'è una maraviglia; e che anche tu vi hai la tua parte, e sei l'ottava corda di questa lira universale: ma che io sono assordata dal suono stesso, e però non l'odo.
Luna. Anch'io senza fallo sono assordata; e, come ho detto, non l'odo: e non so di essere una corda.
Terra. Dunque mutiamo proposito. Dimmi: sei tu popolata veramente, come affermano e giurano mille filosofi antichi e moderni, da Orfeo sino al De la Lande? Ma io per quanto mi sforzi di allungare queste mie corna, che gli uomini chiamano monti e picchi; colla punta delle quali ti vengo mirando, a uso di lumacone; non arrivo a scoprire in te nessun abitante: se bene odo che un cotal Davide Fabricio, che vedeva meglio di Linceo, ne scoperse una volta certi, che spandevano un bucato al sole.
Luna. Delle tue corna io non so che dire. Fatto sta che io sono abitata.
Terra. Di che colore sono cotesti uomini?
Luna. Che uomini?
Terra. Quelli che tu contieni. Non dici tu d'essere abitata?
Luna. Sì, e per questo?
Terra. E per questo non saranno già tutte bestie gli abitatori tuoi.
Luna. Né bestie né uomini; che io non so che razze di creature si sieno né gli uni né l'altre. E già di parecchie cose che tu mi sei venuta accennando, in proposito, a quel che io stimo, degli uomini, io non ho compreso un'acca.
Terra. Ma che sorte di popoli sono coteste?
Luna. Moltissime e diversissime, che tu non conosci, come io non conosco le tue.
Terra. Cotesto mi riesce strano in modo, che se io non l'udissi da te medesima, io non lo crederei per nessuna cosa del mondo. Fosti tu mai conquistata da niuno de' tuoi?
Luna. No, che io sappia. E come? e perché?
Terra. Per ambizione, per cupidigia dell'altrui, colle arti politiche, colle armi.
Luna. Io non so che voglia dire armi, ambizione, arti politiche, in somma niente di quel che tu dici.
Terra. Ma certo, se tu non conosci le armi, conosci pure la guerra: perché, poco dianzi, un fisico di quaggiù, con certi cannocchiali, che sono instrumenti fatti per vedere molto lontano, ha scoperto costì una bella fortezza, co' suoi bastioni diritti; che è segno che le tue genti usano, se non altro, gli assedi e le battaglie murali.
Luna. Perdona, monna Terra, se io ti rispondo un poco più liberamente che forse non converrebbe a una tua suddita o fantesca, come io sono. Ma in vero che tu mi riesci peggio che vanerella a pensare che tutte le cose di qualunque parte del mondo sieno conformi alle tue; come se la natura non avesse avuto altra intenzione che di copiarti puntualmente da per tutto. Io dico di essere abitata, e tu da questo conchiudi che gli abitatori miei debbono essere uomini. Ti avverto che non sono; e tu consentendo che sieno altre creature, non dubiti che non abbiano le stesse qualità e gli stessi casi de' tuoi popoli; e mi alleghi i cannocchiali di non so che fisico. Ma se cotesti cannocchiali non veggono meglio in altre cose, io crederò che abbiano la buona vista de' tuoi fanciulli; che scuoprono in me gli occhi, la bocca, il naso, che io non so dove me gli abbia.
Terra. Dunque non sarà né anche vero che le tue province sono fornite di strade larghe e nette; e che tu sei coltivata; cose che dalla parte della Germania, pigliando un cannocchiale, si veggono chiaramente.
Luna. Se io sono coltivata, io non me ne accorgo, e le mie strade io non le veggo
Terra. Cara Luna, tu hai a sapere che io sono di grossa pasta e di cervello tondo; e non è maraviglia che gli uomini m'ingannino facilmente. Ma io ti so dire che se i tuoi non si curano di conquistarti, tu non fosti però sempre senza pericolo: perché in diversi tempi, molte persone di quaggiù si posero in animo di conquistarti esse; e a quest'effetto fecero molte preparazioni. Se non che, salite in luoghi altissimi, e levandosi sulle punte de' piedi, e stendendo le braccia, non ti poterono arrivare. Oltre a questo, già da non pochi anni, io veggo spiare minutamente ogni tuo sito, ricavare le carte de' tuoi paesi, misurare le altezze di cotesti monti, de' quali sappiamo anche i nomi. Queste cose, per la buona volontà ch'io ti porto, mi è paruto bene di avvisartele, acciò che tu non manchi di provvederti per ogni caso. Ora, venendo ad altro, come sei molestata da' cani che ti abbaiano contro? Che pensi di quelli che ti mostrano altrui nel pozzo? Sei tu femmina o maschio? perché anticamente ne fu varia opinione. È vero o no che gli Arcadi vennero al mondo prima di te? che le tue donne, o altrimenti che io le debba chiamare, sono ovipare; e che uno delle loro uova cadde quaggiù non so quando? che tu sei traforata a guisa dei paternostri, come crede un fisico moderno?che sei fatta, come affermano alcuni Inglesi, di cacio fresco? che Maometto un giorno, o una notte che fosse, ti spartì per mezzo, come un cocomero; e che un buon tocco del tuo corpo gli sdrucciolò dentro alla manica? Come stai volentieri in cima dei minareti? Che ti pare della festa del bairam?
Luna. Va pure avanti; che mentre seguiti così, non ho cagione di risponderti, e di mancare al silenzio mio solito. Se hai caro d'intrattenerti in ciance, e non trovi altre materie che queste; in cambio di voltarti a me, che non ti posso intendere, sarà meglio che ti facci fabbricare dagli uomini un altro pianeta da girartisi intorno, che sia composto e abitato alla tua maniera. Tu non sai parlare altro che d'uomini e di cani e di cose simili, delle quali ho tanta notizia, quanta di quel sole grande grande, intorno al quale odo che giri il nostro sole.
Terra. Veramente, più che io propongo, nel favellarti, di astenermi da toccare le cose proprie, meno mi vien fatto. Ma da ora innanzi ci avrò più cura. Dimmi: sei tu che ti pigli spasso a tirarmi l'acqua del mare in alto, e poi lasciarla cadere?
Luna. Può essere. Ma posto che io ti faccia cotesto o qualunque altro effetto, io non mi avveggo di fartelo: come tu similmente, per quello che io penso, non ti accorgi di molti effetti che fai qui; che debbono essere tanto maggiori de' miei, quanto tu mi vinci di grandezza e di forza.
Terra. Di cotesti effetti veramente io non so altro se non che di tanto in tanto io levo a te la luce del sole, e a me la tua; come ancora, che io ti fo gran lume nelle tue notti, che in parte lo veggo alcune volte. Ma io mi dimenticava una cosa che importa più d'ogni altra. Io vorrei sapere se veramente, secondo che scrive l'Ariosto, tutto quello che ciascun uomo va perdendo; come a dire la gioventù, la bellezza, la sanità, le fatiche e spese che si mettono nei buoni studi per essere onorati dagli altri, nell'indirizzare i fanciulli ai buoni costumi, nel fare o promuovere le instituzioni utili; tutto sale e si raguna costà: di modo che vi si trovano tutte le cose umane; fuori della pazzia, che non si parte dagli uomini. In caso che questo sia vero, io fo conto che tu debba essere così piena, che non ti avanzi più luogo; specialmente che, negli ultimi tempi, gli uomini hanno perduto moltissime cose (verbigrazia l'amor patrio, la virtù, la magnanimità, la rettitudine), non già solo in parte, e l'uno o l'altro di loro, come per l'addietro, ma tutti e interamente. E certo che se elle non sono costì, non credo si possano trovare in altro luogo. Però vorrei che noi facessimo insieme una convenzione, per la quale tu mi rendessi di presente, e poi di mano in mano, tutte queste cose; donde io penso che tu medesima abbi caro di essere sgomberata, massime del senno, il quale intendo che occupa costì un grandissimo spazio; ed io ti farei pagare dagli uomini tutti gli anni una buona somma di danari.
Luna. Tu ritorni agli uomini; e, con tutto che la pazzia, come affermi, non si parta da' tuoi confini, vuoi farmi impazzire a ogni modo, e levare il giudizio a me, cercando quello di coloro; il quale io non so dove si sia, né se vada o resti in nessuna parte del mondo; so bene che qui non si trova; come non ci si trovano le altre cose che tu chiedi.
Terra. Almeno mi saprai tu dire se costì sono in uso i vizi, i misfatti, gl'infortuni, i dolori, la vecchiezza, in conclusione i mali? intendi tu questi nomi?
Luna. Oh cotesti sì che gl'intendo; e non solo i nomi, ma le cose significate, le conosco a maraviglia: perché ne sono tutta piena, in vece di quelle altre che tu credevi.
Terra. Quali prevalgono ne' tuoi popoli, i pregi o i difetti?
Luna. I difetti di gran lunga.
Terra. Di quali hai maggior copia, di beni o di mali?
Luna. Di mali senza comparazione.
Terra. E generalmente gli abitatori tuoi sono felici o infelici?
Luna. Tanto infelici, che io non mi scambierei col più fortunato di loro.
Terra. Il medesimo è qui. Di modo che io mi maraviglio come essendomi sì diversa nelle altre cose, in questa mi sei conforme.
Luna. Anche nella figura, e nell'aggirarmi, e nell'essere illustrata dal sole io ti sono conforme; e non è maggior maraviglia quella che questa: perché il male è cosa comune a tutti i pianeti dell'universo, o almeno di questo mondo solare, come la rotondità e le altre condizioni che ho detto, né più né meno. E se tu potessi levare tanto alto la voce, che fossi udita da Urano o da Saturno, o da qualunque altro pianeta del nostro mondo; e gl'interrogassi se in loro abbia luogo l'infelicità, e se i beni prevagliano o cedano ai mali; ciascuno ti risponderebbe come ho fatto io. Dico questo per aver dimandato delle medesime cose Venere e Mercurio, ai quali pianeti di quando in quando io mi trovo più vicina di te; come anche ne ho chiesto ad alcune comete che mi sono passate dappresso: e tutti mi hanno risposto come ho detto. E penso che il sole medesimo, e ciascuna stella risponderebbero altrettanto.
Terra. Con tutto cotesto io spero bene: e oggi massimamente, gli uomini mi promettono per l'avvenire molte felicità.
Luna. Spera a tuo senno: e io ti prometto che potrai sperare in eterno.
Terra. Sai che è? questi uomini e queste bestie si mettono a romore: perché dalla parte della quale io ti favello, è notte, come tu vedi, o piuttosto non vedi; sicché tutti dormivano; e allo strepito che noi facciamo parlando, si destano con gran paura.
Luna. Ma qui da questa parte, come tu vedi, è giorno.
Terra. Ora io non voglio essere causa di spaventare la mia gente, e di rompere loro il sonno, che è il maggior bene che abbiano. Però ci riparleremo in altro tempo. Addio dunque; buon giorno.
Luna. Addio; buona notte.
Giacomo Leopardi..
in onore della luna piena di stanotte..