lunedì, luglio 31, 2006

Un tea che sa di Tamigi..


... Drinking tea with the taste of the Thames,
Sullenly on a chair on the pavement
Here you'll find, my thoughts and I,
And here is the very last plea from myheart
My heart. For evermore,
Where taxi drivers never stop talking
Under slate grey Victorian sky,
Here you will find, despair and I
And here I am every last inch of me is yours, Yours,
For evermore
Your leg came to rest against mine,
Then you lounged with knees up and apart
And me and my heart, we knew, We just knew, For evermore
Where taxi drivers never stop talking,
Under slate grey Victorian sky
Here you'll find, my heart and I,
And still we say come back,
Come back toCamden

Londra mi aspetta. Ci rivediamo il 17.. buona estate a tutti..
fabiana

mercoledì, luglio 26, 2006

de ardore.. o semplicemente con gli occhi di un bambino


“Vorrei che ognuno di voi vedesse questo film con gli occhi del bimbo che è in lui. Così so che ognuno di voi lo vedrà in modo diverso, lo sentirò in modo diverso. È così che io l’ho concepito”. Così conclude il brevissimo discorso Wim Wenders in una silenziosa piazza di Bari, mentre il pubblico aspettava una lunghissima intervista, sperava di porgli domande, scoprire curiosità.. Niente di tutto questo, poche parole, un saluto e poi buio, il film ha inizio.

Chiamare semplicemente film “Il cielo sopra Berlino” è snaturarne la bellezza. Esso è pura poesia, e racchiude l’umanità intera. L’aver scelto Berlino come setting è per Wenders non solo un ritorno alle origini ma un simbolo violento e malinconico volto alla riscoperta e alla ricerca dell’unità. Una città divisa da un muro, una città che come gli uomini reca i segni della devastazione bellica, metafora dell’incomunicabilità e della non-comprensione. Una città-mondo, un mondo visto dagli angeli in bianco e nero, dove si fa evidente il grigiore, la miseria, la solitudine, il silenzio.. reso tutto magistralmente da fotografia e semi-assenza di dialoghi, percezione di pensieri e odori.
Un mondo in cui la mancanza si fa forte e la chiave di volta è l’innocenza, l’entusiasmo..Eppure in questa apparente cupa nostalgia della antica perfezione unitaria dell’Eden cioè che resta nello spettatore è la speranza, il credo, la gioia, l’amore. Un meraviglioso film che consente un’immediata riflessione sull’essere stesso. “Il tempo guarirà tutto, ma che succede se il tempo stesso è una malattia?” Ogni singolo fotogramma e pensiero hanno echi di una profonda ricerca esistenziale che coinvolge ogni essere. E gli angeli cercano di aiutare e consolare chi più ne ha bisogno, seduti al loro fianco, invisibili a tutti se non ai bambini, una mano sulla spalla per infondere pace e coraggio.. ma anche loro possono fallire, anche loro son fallaci.. qualcuno, si suicida lo stesso. Che siano umani come noi? Che siamo angeli anche noi? Il tornar sulla terra non va ad inficiare la positività del ruolo degli angeli, quel senso di tepore e rassicurazione trasmesso agli stessi spettatori. Tecnicamente è l’inquadratura “in soggettiva” che consente anche a noi di veder ciò che vedono gli angeli, ma di percepirlo come solo noi, esseri umani sappiamo fare.

Nel capolavoro del regista tedesco, un’ingenuità dolce e infantile aleggia sulle brutture degli uomini. L’ingenuità degli angeli e dei bambini, i protagonisti onnipresenti-assenti del film. Per le strade, sotto i ponti, nelle auto, nella metropolitana, nei bistrot, nelle case, nei ricordi. Angeli umanizzati che chiedono di vedere i colori e di poter toccare, assaporare, gustare. Un caffè, una goccia di sangue, la pelle di una donna, le mani di un amico, una pietra ovale, la vita. Quanto entusiasmo c’è e quanta curiosità e voglia d’amore. Dopo aver camminato tra gli uomini, all’eternità senza colore l’angelo preferisce la precarietà della condizione umana, precaria ma viva, tangibile, in comunione.

Ogni scelta registica, dalla musica alla fotografia, dai tempi alle liriche, dalle ombre alle nebbie, dai personaggi al metacinema, tutto assurge al ruolo di simbolo, tutto assume la sua dimensione e collocazione e riacquista valore…la trapezista che vola come un angelo.. le comparse “questi qui sono comparse, gente fantastica, sono così pazienti, se ne stanno seduti, semplicemente, comparse.. questi essere umani sono comparse.. sono straordinari…”dice Peter Falk riflettendo.. Il fatto che nel film vi siano Peter Falk e Nick Cave nel ruolo di se stessi rende ancora più reale e tangibile ciò che dovrebbe esser solo finzione o sogno. Nonostante l’angelica presenza, ciò che regna è proprio la verità, il palpabile, quello che gli angeli vorrebbero possedere. Ogni cosa si priva della sua bruttura per avvolgersi in setose immagini di stupore e forza accompagnate dalla voce sonante di violini. Anche la città, ripresa nei suoi posti meno belli, nei suoi angoli più desolati e nascosti,eppur ci appare bellissima.

Mi piace vedere questo Der Himmel über Berlin come un documentario sull’anima, “finito il circo, finito.. ancora una volta è come se si facesse buio dentro di me…guardarsi allo specchio è come guardarsi pensare..allora cosa pensi? Penso che ho senz’altro il diritto di avere paura.. e allora piangi, vorresti piangere come una bambina piccola ..” dice Marion.. una continua ricerca di sé, o di qualcosa che ci completi. Vi è un mondo in questo film, una biblioteca assoluta.. e le contaminazioni e i richiami letterari, filosofici e cinematografici si presentano all’improvviso, violenti.. dall’alone circense felliniano alla scissione ontologica dell’essere dai vaghi sapori parmenidei, dalle cadute angeliche della Genesi ai richiami impliciti a “La notte dei generali”, film di Litvak del 1967, dalla guida di Omero all’atmosfera cupa e trascinante di Nick Cave per finire con l’immagine finale e luminosa della stilnovista donna angelicata, Marion che si esercita “in cielo” mentre Damiel, l’ex angelo, la guarda da terra, con il naso in su.
Il film inizia con l’angelo che guarda verso il basso.. e analizza. Il film finisce con l’angelo diventato uomo che guarda verso l’alto.. e sogna. “c’era una volta..”
Inversione del tutto. Unione del tutto. Simboleggiata quasi biblicamente dall’unione uomo/donna. Ma non solo. “Mi piacerebbe vedere la tua faccia, giusto per guardarti negli occhi e dirti quanto è bello essere qui... Quaggiù è bello fumare, prendere un caffè... e se lo fai insieme è fantastico.” Dice un amico..Farlo insieme, insieme è bello, esaltazione dalla terminologia infantile dell’unità e del ricongiungimento anche e soprattutto in una stretta di mano vicino al nulla sonante di Postdamerplatz. È dal muro grigio e maledetto di un mondo diviso, proprio da quel wall di separazione che l’angelo comincia la sua nuova vita di unione. Opposti che si toccano. Prospettive che si avvicinano. Grigi che si colorano. Perché pian piano, man mano che si entra nella vita e nel cuore dei due protagonisti, la prospettiva e la visuale cambiano e, dall’alto, dalla distanza iniziale, lo sguardo dell’angelo scende sulle strade, sotto la metro, e si misura con l’uomo comune, con la vera essenza del popolo, e ne avverte la comunione. E ne ricerca la comunione. “Guardare non è guardare dall’alto, ma ad altezza d’occhio.” E diventa come noi.
Anche il cielo si ricongiunge con la terra, con due mani che si toccano, due labbra che si sfiorano. non c'è bisogno di essere angeli per volare. e Nick Cave canta "From her to eternity"... Lo stupore di un uomo che ora sa ciò che nessun angelo sa. …….
….siamo tutti sulla stessa barca.

Ci sarebbe ancora tanto altro da dire.. ma..provate a vederlo anche voi con gli occhi di un bambino.

buon entusiasmo a tutti.

Quando il bambino era bambino, se ne andava a braccia appese.
Voleva che il ruscello fosse un fiume, il fiume un torrente, e questa pozza il mare.
Quando il bambino era bambino, non sapeva d'essere un bambino.
Per lui tutto aveva un'anima, e tutte le anime erano tutt'uno.
Quando il bambino era bambino, su niente aveva un'opinione.
Non aveva abitudini. Sedeva spesso a gambe incrociate, e di colpo sgusciava via.
Aveva un vortice tra i capelli, e non faceva facce da fotografo.
Quando il bambino era bambino, era l'epoca di queste domande:
Perché io sono io, e perché non sei tu? Perché sono qui, e perché non sono lí? Quando é cominciato il tempo, e dove finisce lo spazio?La vita sotto il sole, é forse solo un sogno? Non é solo l'apparenza di un mondo davanti a un mondo, quello che vedo, sento e odoro?
C'é veramente il male? E' gente veramente cattiva?Come puó essere che io, che sono io, non c'ero prima di diventare? E che un giorno io, che sono io, non saró piú quello che sono?
Quando il bambino era bambino, per nutrirsi gli bastavano pane e mela, ed é ancora cosí.
Quando il bambino era bambino, le bacche gli cadevano in mano, come solo le bacche sanno cadere. Ed é ancora cosí. Le noci fresche gli raspavano la lingua, ed é ancora cosí.
A ogni monte, sentiva nostalgia di una montagna ancora piú alta, e in ogni cittá, sentiva nostalgia di una cittá ancora piú grande. E questo, é ancora cosí. Sulla cima di un albero, prendeva le ciliegie tutto euforico, com'é ancora oggi.
Aveva timore davanti ad ogni estraneo, e continua ad averne.
Aspettava la prima neve, e continua ad aspettarla.
Quando il bambino era bambino, lanciava contro l'albero un bastone, come fosse una lancia.
E ancora continua a vibrare.
"Lied Vom Kindsein" — Peter Handke ..dal film..

martedì, luglio 25, 2006

Vivere e lasciarsi vivere.

Sono stanca di guardarmi intorno ed assistere allo scempio che spesso gli esseri umani commettono su di sé. E non parlo di omicidi e grandi guerre. Parlo di qualcosa di più mite ma di frustrante. Sembra che molte persone abbiano perso o non conoscano affatto il gusto dell’assaporare la vita. Sembra che trascorrano irripetibili giorni, tutti identici a loro stessi facendosi trascinare dallo scorrere del tempo e dal muoversi incessante delle lancette. Stato di apatia. Attiva o inattiva che sia. Perché si può essere apatici pur essendo attivi. Quando non si sente il gusto delle cose che si fanno. Quando si segue una specie di moto e ci si fa trascinare. Invece di trascinare. È una condizione che non sopporto. Soprattutto quando la vedo negli occhi delle persone a cui voglio bene. Soprattutto quando mi accorgo che non è un momento, ma un modus vivendi perpetuo. Si deve aver coscienza della differenza tra vivere e lasciarsi vivere. Non si dovrebbe permettere al tempo e alle cose di passarci sopra, senza poi lasciare un odore. Si dovrebbe chiedere al tempo e alle cose di entrare, farci sentire e lasciarci un segno addosso. Fosse anche un pugnale. Fosse anche una carezza. È che le persone hanno paura. Di tutto. Di rischiare, di insistere, di provare, di godere, di sbagliare, di soffrire, di sentire. E non lo possono ammettere neanche a loro stessi. Sento sempre gente che si lamenta di qualunque cosa, ma che fa per rendersi la giornata migliore? Insoddisfatta, senza neanche sapere il perché. È patetico, mediocre, inaccettabile. L’ennui del quotidiano. Eppure siam circondati da tante cose che potrebbero renderci la giornata migliore. Si ha la vista offuscata, e la bellezza è dietro un velo. Non si sa più ascoltare la voce del mondo.
Manca la curiosità e l’entusiasmo.. e forse si è aggiunta un po’ di stanchezza.
Io sono felice di non essere così. Perché continuerò per sempre a guardare le stelle che brillano con gli occhi curiosi di un bambino.

mercoledì, luglio 19, 2006

ripensandoci...

Verità, dico io. E un po’ di mano sulla coscienza. Non si può sempre credere che le anime degli altri siano a nostra disposizione, e si chinino ad un gesto gentile anche dopo tanta indifferenza. No. Arriva il punto di rottura. Il momento in cui uno decide di reagire e magari sempre con gentilezza ti manda a quel paese. Ci son persone che son diventate estranee. E continuassero ad esserlo allora invece di giocare agli amici che in fondo (ma moooolto in fondo) ti vogliono bene. Perché il bene si respira, si tocca, ha bisogno di scambio, di mani, di occhi, di parole e silenzi veri. E non di quattro letterine ipocrite e noncuranti scambiate via etere ogni 3 mesi.
Rispetto, dico io. E un po’ di decenza. Non si può puntare su un qualcosa di tragico per intenerire dopo che lo si è usato a proprio piacimento. No, perché qua non ti permetto più neanche di parlare. E ringrazia che sono una persona educata e legata ai ricordi.. Perché se qualcuno aveva un posto in me, ora facendo così è nella top ten degli inutili. E degli stupidi.
Nella relatività del tutto c'è l'assolutezza dell'amarezza. e del tempo che scorre.

domenica, luglio 16, 2006

sono felice. l'altra sera ho stretto le sue mani, abbiam ballato, ho avuto un'altra alba. ho avuto solo per me occhi e fossette. tra tanta gente. che bello..
e poi musica.. ieri sergio caputo dal vivo, fantastico. e stasera ivan.. tre bellissime giornate che segneranno la mia estate.. questa nostra estate.
buona domenica.

sabato, luglio 15, 2006

.. in Segreto Contrasto

Canzoni d'amore distruggono corazze che persone fragili, usano per difendersi dal mondo..
Tornano fragili, tornano acqua
per questo le odio, per questo non posso farne a meno
Ho bisogno di saper chi sono
alle volte non riesco
Vorrei fermare il tempo, bruciare il corpo ed esaltare l'anima, confonderla con quella sua
Io e lei siamo una cosa sola esaltata dall'essenza
La limitazione del corpo mi ostacola
mi eccita e mi fa amare
e sono attimi momenti eterni
di aspirata eternità
di aspirato eterno amore...

i.segreto..

a domani .. dal vivo..

venerdì, luglio 14, 2006

oggi ho il cuore che batte forte..
oggi ho impressi due occhi che mi fissano in silenzio..
oggi ho davanti due fossette che parlano di gioia..
oggi sono felice come quel venerdi..
oggi ho paura come quel venerdi..
oggi sento l'importanza di abbracci e carezze..
oggi voglio ballare con te e tenerti sempre la mano..
oggi voglio che tu mi prenda a ballare come quella sera..
oggi voglio ancora un'alba.


Poichè l'alba si accende... -Paul Verlaine

Poiché l'alba si accende, ed ecco l'aurora,
poiché, dopo avermi a lungo fuggito, la speranza consente
a ritornare a me che la chiamo e l'imploro,
poiché questa felicità consente ad esser mia,

facciamola finita coi pensieri funesti,
basta con i cattivi sogni, ah! soprattutto
basta con l'ironia e le labbra strette
e parole in cui uno spirito senz'anima trionfava.

E basta con quei pugni serrati e la collera
per i malvagi e gli sciocchi che s'incontrano;
basta con l'abominevole rancore! basta
con l'oblìo ricercato in esecrate bevande!

Perché io voglio, ora che un Essere di luce
nella mia notte fonda ha portato il chiarore
di un amore immortale che è anche il primo
per la grazia, il sorriso e la bontà,

io voglio, da voi guidato, begli occhi dalle dolci fiamme,
da voi condotto, o mano nella quale tremerà la mia,
camminare diritto, sia per sentieri di muschio
sia che ciottoli e pietre ingombrino il cammino;

sì, voglio incedere dritto e calmo nella Vita
verso la meta a cui mi spingerà il destino,
senza violenza, né rimorsi, né invidia:
sarà questo il felice dovere in gaie lotte.

E poiché, per cullare le lentezze della via,
canterò arie ingenue, io mi dico
che lei certo mi ascolterà senza fastidio;
e non chiedo, davvero, altro Paradiso.

giovedì, luglio 13, 2006

quella sera al Crocodile Inn..

“Dammene un altro”.
Jack la fissava con uno sguardo provocatorio, intenso, a tratti feroce.
Lei, mordendosi le labbra, si voltò di scatto e, strofinatasi in fretta le mani bagnate e ruvide sul grembiule, prese la solita bottiglia di scotch. Restò per brevi ma lunghissimi secondi con la bottiglia a mezz’aria, il braccio un po’ sollevato, ed il viso in un’espressione mista tra la sfida e la rabbia. Ma lui sembrò averla vinta. Anne abbassò di scatto l’avambraccio e a mezzo centimetro di distanza dal bicchiere versò nervosa ancora una volta quel liquido ocra che lo avrebbe prima o poi ammazzato.
Jack le bloccò il polso sul bancone e poi scoppiò ridere. Era il decimo bicchiere in due ore.

Fuori dal Crocodile Inn le pozzanghere erano piene di fango. Pioveva ininterrottamente da due giorni e ormai quasi non ci si faceva caso agli orli dei pantaloni inzuppati e alle scarpe indurite. L’aria puzzava di gas e benzina. Anne lavorava lì da qualche mese, da quando aveva deciso di andar via di casa. Non era mai stata felice con sua madre e suo nonno. Era stanca di sentirli urlare, sentirli imporre il loro volere. “È per il tuo bene” dicevano, ma intanto la chiudevano a chiave nella sua stanza senza finestre per farle superare la claustrofobia, o la lasciavano digiuna per tre giorni per prepararla alla sopravvivenza, come la chiamavano loro. Era stanca delle loro manie. E della violenza.
Voleva far la pianista, ma per mangiare era costretta a far la cameriera. Era gentile e simpatica con i clienti e ormai conosceva un po’ tutti i camionisti che facevan sosta lì prima di raggiungere il paese. Qualcuno la prendeva in giro per le orecchie a sventola che si vedevano quando legava i capelli, ma per il resto erano tutti abbastanza cortesi. Aveva uno sguardo pulito e timido e tutti in fondo la proteggevano.
Ma Jack no. Era capitato lì per caso, e vedendola al bancone, con quella fascia a righe in testa e un vecchio grembiule macchiato non aveva saputo trattenere battute cattive. Due ore tra risa beffarde e occhi puntati sul suo visino leggero. Jack puzzava di whisky, puzzava di sporco. Puzzava come la frutta marcita al sole, come pelle invecchiata nella merda.
Da quando era entrato nel locale Anne si sentiva a disagio, visibilmente.
Un cliente le chiese di portare del sapone e della carta igienica nel bagno e lei, dopo essersi chinata verso il pavimento forse per prendere le chiavi, lasciò il bancone per dirigersi verso il fondo della sala. Aprì uno sportello, prese carta e un flacone di sapone liquido giallognolo e sistemò tutto in fretta nella toilette. Stava tornando verso il bar quando Jack si alzò e ridendo, le infilò le mani sotto la gonna, con forza, davanti a tutti. L’urlo di Anne fu così atroce che tutti gli avventori presenti rimasero un attimo paralizzati. Da quelle labbra rosee e gentili era stato emesso un suono strano, misto a dolore e rabbia. Un grido di vendetta seguì. Dalla tasca del grembiule estrasse un coltello. Nessuno ebbe il tempo di fermarla, neanche Jack che ancora si muoveva derisore dentro di lei.
Una pugnalata allo stomaco e poi al collo.
Il vecchio cambiò espressione, gli occhi sgranati, stupiti. Dieci secondi di totale silenzio, l’aria già pregna di odore metallico di sangue. Poi Anne, estratto il coltello dal collo dell’uomo disse amara: “L’ho fatto io prima del whisky. È solo colpa tua, nonno.”

fabi

lunedì, luglio 10, 2006

9 luglio 2006. ore 20.00 INDIMENTICABILE...



È stata un’immagine triste e bellissima.
Premonizione della nostra vittoria. Tramonto di un campione che era ad un passo dall’Olimpo.
Per gli amanti del calcio vero come me, oltre alla gioia, alle lacrime, alla festa e alla soddisfazione di aver finalmente vinto la Coppa del mondo, c’è anche la delusione di aver visto un professionista scendere così in basso, uno che era la classe in persona arrivare ad un gesto così ignobile e ingiustificato in mondovisione. Ecco allora che la coppa resta lì mentre Zizu scende dando le spalle a tutti, al successo, al mondiale, alla sua nazionale, ai tifosi che l’hanno sempre creduto una divinità.
è stato triste e orribile nel nome del fair play, di quello che il calcio dovrebbe significare, gioco di gruppo, rispetto, unità, lealtà... (questo è il calcio che ho vissuto qui in casa.. la realtà è diversa da anni purtroppo..)

Ma a dispetto di questo.. Noi..gli AZZURRI.. abbiamo vinto, e ce lo siamo meritati. Di fronte ai pronostici, ai francesi, alle offese, ai problemi di calciopoli, ad un paese non coeso in tripudio collettivo.
A casa prima la tensione, gli improperi, una cena veloce, la cassetta che registrava tutto, il vino sul tavolo, i gesti scaramantici, la bandiera in testa… più di due ore di “sofferenza”.. e poi… l’urlo finale, un boato riecheggiante nella penisola, abbracci, lacrime e .. champagne addosso, per tutta la cucina, nei calici!!


Ho portato mia nonna in giro a fare il carosello, il paese era in festa, impazzito, si ballava dovunque, un tripudio di bandiere, clacson, trombe, visi dipinti al tricolore.. abbiam giocato a calcio nella piazza principale, correndo e ridendo, mentre attorno si cantava e si saltava, nell’aria musica e colori. Si respirava gioia. Si respira ancora gioia. Un trionfo per tutti.

Grazie azzurri. Per quella bandierina che ho creato. Grazie a tutta la squadra, che ci ha creduto, che ha fatto miracoli, che ha stretto i denti e che ha sorriso e sofferto, come noi tifosi, sempre fino alla fine.

giovedì, luglio 06, 2006

rose. petali e spine.




Il tuo sorriso
Pablo Neruda

Toglimi il pane, se vuoi,
toglimi l'aria, ma
non togliermi il tuo sorriso.
Non togliermi la rosa,
la lancia che sgrani,
l'acqua che d'improvviso
scoppia nella tua gioia,
la repentina onda
d'argento che ti nasce.
Dura è la mia lotta e torno
con gli occhi stanchi,
a volte, d'aver visto
la terra che non cambia,
ma entrando il tuo sorriso
sale al cielo cercandomi
ed apre per me tutte
le porte della vita.
Amor mio, nell'ora
più oscura sgrana
il tuo sorriso, e se d'improvviso
vedi che il mio sangue macchia
le pietre della strada,
ridi, perché il tuo riso
sarà per le mie mani
come una spada fresca.

Vicino al mare, d'autunno,
il tuo riso deve innalzare
la sua cascata di spuma,
e in primavera, amore,
voglio il tuo riso come
il fiore che attendevo,
il fiore azzurro, la rosa
della mia patria sonora.
Riditela della notte,
del giorno, della luna,
riditela delle strade
contorte dell'isola,
riditela di questo rozzo
ragazzo che ti ama,
ma quando apro gli occhi
e quando li richiudo,
quando i miei passi vanno,
quando tornano i miei passi,
negami il pane, l'aria,
la luce, la primavera,
ma il tuo sorriso mai,
perché io ne morrei.

mercoledì, luglio 05, 2006

2-0

questa vittoria è per te. starai festeggiando lassù tra gli angeli. avrai urlato ad ogni tiro, ti sarai arrabbiato ad ogni errore, avrai gridato come me mettendoti le mani dei capelli. C'eri in cucina, sulla sedia alzandoti per ogni sbaglio, per ogni passaggio non fatto, per ogni tiro impreciso.. imprecando e battendo le mani. eri nella stanza come lo sei ora. Le lacrime che ho versato erano per la gioia di sentirti in me, e per la tristezza opprimente di non poterti vedere ridere. Festeggiare con il mondo in piazza, luci, suoni, urla, bandiere, clacson.. avrei barattato tutto questo per un solo unico abbraccio in silenzio. E per quel sorriso splendene. Dopo tanti anni al tuo fianco, questa squadra mi doveva questa vittoria. Me la doveva per te.
Mi manchi papà.