Nei suoi occhi di ghiaccio c’era l’inferno.
Questa è la storia di un angelo caduto. Dagli occhi di incanto e la pelle di rosa. Pungente quell’azzurro violento e lontano. Come i suoi passi quando a testa bassa andava avanti e indietro immaginando serpenti e specchi sotto i suoi piedi. Un tatuaggio bellissimo gli circondava il braccio, un delicato ornamento per una pelle dorata dal sole. Labbra come rose. nel cuore le spine. Non dimenticherò mai quel sorriso. I denti più bianchi e splendenti che abbia mai visto, biancore accecante come un miraggio nel deserto. Un’espressione dolce e sofferente. Un’allegria finta. Reale ma allucinata.
Nei suoi occhi di ghiaccio c’era l’inferno.
Raccontato a cena, minuto dopo minuto. Mentre quel sorriso si trasformava in una smorfia di tristezza.
Aveva ventiquattro anni allora. Da compiere. E quando camminava in costume da bagno sembrava una statua scolpita nella sabbia ma liscia come quarzo levigato. Mi ricordo quando lo vidi arrivare.. biondo splendente vestito di bianco con lo sguardo perso. seduta ad un tavolino del bar arrivò con un amico che tentava di fare il giocoliere. Era il ragazzo più bello che avessi mai visto. E qualche giorno dopo mi aveva chiesto “vieni a cena con me. Ho finalmente voglia di parlare”. Si sentiva finalmente a suo agio con qualcuno per raccontar la sua vita- rassegnazione e senso di liberazione in quel brindisi. Aveva scelto me perché gli dicevo cose intelligenti. Perché lo facevo ridere senza chiedergli nulla. Perché gli avevo fatto una carezza sulla testa. Perché anche io non ero felice allora. Le spalle sulla sdraio. Le mani che stringevano le mie. Le lacrime trattenute. Le sue. Le mie scendevano come bollicine del prosecco, ma all’ingiù. E due ore di parole.
Da un capodanno a sniffare coca con sua madre e i suoi amici.
Sua madre. Aveva organizzato un party divertente per il figlio. A casa sua con piste di coca. I miei complimenti. Da quel capodanno.. In comunità. Gli acidi, l’eroina, le canne, il metadone. E la voglia di vivere sapendo di aver perso già tutto. Lo zio gay l’aveva salvato strappandolo a quella famiglia. separati pazzi incoscienti e irresponsabili. L’ha portato a casa con sé, facendolo lavorare nel suo ristorante, passandogli giusto i soldi necessari per qualche piccola spesa. Per il resto gli comprava tutto lui. Per tenerlo d’occhio. Ho conosciuto quell’uomo. Ho visto nei suoi occhi tanta forza, tanta rabbia e amore di padre. Non dimenticherò mai Michele e il suo dolore.
Nei suoi occhi di ghiaccio invece c’era l’inferno. Nel suo cervello pochi neuroni ancora attivi. È ancora il sorriso più splendente che abbia mai visto. Ma quanta vertigine in questi anni nei successivi incontri. L’ho rivisto. L’ho rivisto cadere, l’ho rivisto volare. E l’ho rivisto ridere. Come sempre. Come un bambino ignaro di tutto, un po’ menefreghista. Un po’ irresponsabile. L’ho visto fare cose che nel cuore non avrebbe voluto fare. Ma non è colpa sua se reagisce in modo strano a volte. Se fa male a chi non vuole. Se dimentica le cose. Se continua a bere e fumare. Ormai ha perso cose che non può ritrovare in nessuno scrigno magico. Ha imparato a chiedere scusa. Ha imparato il senso dell’amore mi diceva.
Non lo vedo da un anno. Ci vogliamo bene. Come separa l’ignoranza e come unisce il dolore. Ma sono certa che il suo sorriso con quel neo da modella non sia cambiato. La sua voglia di vivere e di ridere. Ma neanche l’inferno nei suoi occhi.
Buon compleanno in ritardo D.
2 commenti:
ci si perde a leggere i tuoi racconti. stile ed eleganza in ogni tuo gesto. baci
merci ... quasi mi commuovi, come al solito.
un bacio
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